sabato 3 agosto 2013

SUD / CORRADO ALVARO


A Reggio Calabria, in pieno centro, a ridosso del Museo Nazionale*, in un giardinetto che prelude al Lungomare, c’è un bel monumento a Corrado Alvaro (http://it.wikipedia.org/wiki/Corrado_Alvaro). Non il solito busto, con tanto di frase a effetto. Ma una serie di enormi blocchi di marmo con sopra incisi alcuni passaggi mirabili tratti dalle opere dello scrittore di San Luca, paesino non lontano dalla città calabrese. “Gente in Aspromonte” andrebbe utilizzato come libro di testo nelle scuole del Mezzogiorno d’Italia. Non per fare del meridionalismo da carrello della spesa nell’ipermercato. Ma giusto per capire perché siamo così, quando lo siamo diventati. Se è per il caldo, se è colpa dei “piemontesi”, se le responsabilità sono tutte dei “politici” o dei mafiosi. O forse solo perché siamo così e basta. Noi, la gente del Sud.
Ho ricopiato alcuni dei brani di Alvaro riportati sui blocchi del monumento. Li offro all’attenzione di chi vorrà leggerli e magari di lì trarre spunto per chiedere in biblioteca una delle sue opere.
Dicevo che è anche troppo quello che sono riuscito a combinare con tutti gli inconvenienti con cui sono partito: meridionale, povero, scrittore. (Mastrangelina)
La donna è il personaggio più importante e più autentico della Calabria. È anche il lusso di una natura scabra, immiserita dagli uomini. (Ultimo diario)
I calabresi hanno un senso della fatalità, concepiscono la vita sull’immagine delle loro fiumare che presto o tardi travolgono ogni cosa. “Piegati albero, che passa la piena“ è un loro motto. (L’amata alla finestra)
La favola della vita m’interessa più della vita. (La moglie)
Nella quiete dopo la tempesta nulla più duole. Gli arcobaleni che spiegano il loro vessillo sui cieli placati, i verdi mari prativi di dopo la tempesta, le piogge dopo le epidemie che fanno risentire parente l’odore della terra, ecco altrettante immagini placate dopo i cataclismi e con esse quel forte attaccamento alla vita che si riaccende più impetuosa dopo tali fatti e di radica nuovamente nei luoghi dove fu distruzione. Mai, a meno che non sia intervenuto un decreto degli uomini, nessuna città, dopo il flagello, portò i suoi focolari altrove. Si dice della memoria del dolore, ma essa è breve al confronto della memoria della vita e dell’umile gioia d’essere. Ecco la benigna natura. (Un treno nel sud)
(*) Poi dice che noi siamo del sud. Il Museo Nazionale di Reggio è chiuso per lavori da anni. Conservano (conservavano) i Bronzi di Riace, uno dei capolavori dell’umanità. Che oggi sono conservati, messi lì un po’ per caso, come un paio di scarpe comprati con enorme entusiasmo e poi riposti nella scarpiera perché sono belle, sì, ma fanno un po’ male al callo, nell’androne della sede della Regione Calabria. Ah, dimenticavo. I due giganti stanno in due teche di vetro. In posizione orizzontale. Sdraiati.

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