sabato 10 agosto 2013

PALLONI / PADRI E FIGLI: NICOLA E GABRIELE TURI




In un montaggio, Nicola Turi, a destra, in presa alta,
ai tempi del Monopoli, e Gabriele, a sinistra
E' UNO DEGLI ARTICOLI DEDICATI AI PADRI CALCIATORI DI FIGLI CALCIATORI, PUBBLICATI DALLA GAZZETTA, NELLA PAGINA DELLO SPORTBARESE, NEI GIORNI SCORSI

Largo Due Giugno, primavera del ’99. Un  bimbetto di poco più di tre anni gioca a palla con il papà. Un amico si avvicina: <Uagliò, ma sai che questo è già meglio di te. Si vede da come si butta>. A Nicola Turi sobbalza il cuore. Vuoi vedere che questo piccoletto diventa davvero migliore del padre? Lo stesso tuffo al muscolo cardiaco il 51enne imprenditore barese l’ha avuto qualche settimana fa: Gabriele Turi va al Monopoli. Sì, giocherà proprio al “Vito Simone Veneziani”, dove Nicola vive due stagioni straordinarie. Nel 1983-84, l’anno della scalata alla C1, gioca solo due partite. Il titolare è Domenico Delli Pizzi. <Fu un’esperienza bellissima, formativa. Avevo solo ventunanni e all’epoca per un portiere erano davvero pochi>. <Giocò con il Galatina di Angelo Carrano – racconta Pino Sportelli, giornalista, oggi dirigente del Monopoli, tra le memorie storiche più lucide del calcio biancoverde -. Le perdemmo entrambe e rischiammo di non arrivare neppure secondi. Ma di Nicola ho un ricordo vivido: ragazzo eccellente, intelligente, e poi leggeva molto. Non capiti spesso di trovare calciatori così>. Sorride, e con una punta di compiacimento Nicola conferma: <Anche oggi mi piace leggere: saggi, molti gialli. Sto cercando di far apprezzare i libri anche a mio figlio. Tra le prime cose che ho chiesto alla dirigenza del Monopoli c’è proprio la possibilità che il ragazzo, che deve fare il quarto Ragioneria, possa continuare a studiare. È una società straordinaria per quello sta facendo e per come lo sta facendo, fra l’altro in un momento molto difficile>.
Torniamo al cuore e ai suoi sobbalzi. Al Monopoli Gabriele ritrova due icone del calcio pugliese, Vito Laruccia, presidente onorario, e Mario Russo, direttore generale. <Trent’anni fa Laruccia era presidente e mister Russo l’allenatore>. Non sembri piaggeria, dice Nicola, titolare di un’impresa del settore mobiliero con oltre duecento dipendenti, <erano e sono persone straordinarie. Laruccia, poi, è imprenditore e dirigente che sa di calcio. E’ tornato con l’entusiasmo di un ragazzino. Come Russo non credo che esistano in giro intendintori di calcio come lui>.
Non solo Gabriele nella famiglia Turi. I rampolli sono addirittura tre. E se Gabriele comincia la sua carriera “da grande” dalla Juniores della Serie D, Pasquale Turi gioca nel Siena in B come esterno sinistro e Nicola Turi, promettentissimo 15enne, è andato alle giovanili del Toro. E infine c’è l’Aurora Bari, una sorta di ramo d’azienda, per dire quanto il calcio permei la vita della famiglia barese. <Bari ha ottime società giovanili, dalla Wonderful all’Accademia, dalla Pro Inter alla Di Cagno. Peccato che manchi l’elemento trainante, il grande club professionistico. I Matarrese hanno molti meriti, ma certo non quello di aver sviluppato negli ultimi anni il settore giovanile. Pensiamo alla incredibile mancanza di un centro sportivo>. Tornano i ricordi. <Nei primi anni Ottanta si sviluppò un vero e proprio fenomeno: era il Bari di Catuzzi. C’ero anch’io con Giorgio De Trizio, Giovanni Loseto, Angelo Terracenere. A Monopoli ritrovai Pierino Armenise, la buonanima di Luciano Volarig, Pino Giusto>. Una nidiata eccezionale che porterà indelebile il segno lasciato dal mister di Parma.
Turi, i genitori spesso rischiano di essere la rovina dei figli. <E’ vero. Troppe aspettative, troppi sogni che finiscono per diventare illusioni. E poi, quando il ragazzo “non riesce” l’amarezza è cento volte più forte. E la colpa è sempre degli altri, dell’allenatore che non capisce, del presidente che non sa gestire. Il calcio e lo sport in genere invece vanno presi per quelli che sono: s’impara a stare nel gruppo, è scuola di vita per il rispetto dei ruoli e delle gerarchie, principi che difficilmente oggi vengono digeriti da giovani che hanno tutto>. Tranne la prospettiva di un lavoro. <Anche per questo ho detto a Gabriele di giocare, di mettercela tutta, ma di non dimenticare che la cosa più importante è studiare e imparare un mestiere>. Per diventare come Buffon c’è sempre tempo.

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