sabato 29 giugno 2013

INCONTRI/TONY SANTAGATA


L’INTERVISTA A TONI SANTAGATA. È STATA PUBBLICATA SUL SETTIMANALE IL RESTO, EDITO A ALTAMURA
L’incontro tra Vito Grittani e Toni Santagata è stato casuale. Una volta erano in un locale, a Roma. Vito ha chiesto a un amico che conosceva il cantante pugliese di dirgli che c’era una persona a cui sarebbe piaciuto ricordare che la sua famiglia, quando emigrò in Germania negli anni Settanta, aveva un tuffo al cuore ogni volta che lui cantava le sue canzoni con quello strano dialetto. Un dialetto che non era pugliese. Era la lingua di tutte le Puglie messe assieme. Il foggiano s’avvicinò e salutò Vito. L’uno inorgoglito dalla conoscenza di un personaggio famoso, anche se ormai in là con gli anni; l’altro inorgoglito dal fatto di essere stato notato e chiamato per le presentazioni.
Toni conferma la versione di Vito: non sapevo assolutamente che fosse sulla sedia a rotelle. Perché qualcuno potrebbe pensare che l’abbia fatto solo perché ero stato invitato da un disabile. Assolutamente. Lo feci per curiosità. Oggi posso dire di aver conosciuto una persona straordinaria. Sono le conclusioni tratte da entrambi.
Ho conosciuto personalmente Tony al party dato dall’ambasciatore della Corea del Sud nella sua residenza di via Della Mendola, a Roma. Per molte ore, lo chansonnier di Santagata di Puglia, classe 1936, ha parlato della sua vita, di avventure e disavventure. L’intervista è stata pubblicata dal settimanale Il Resto, diretto da Nicola Mangialardi.

“Vedi questa casa? Ci abito da oltre trent’anni. Attico e superattico in via Cassia. Arrivammo insieme, io e Lucio Battisti. Praticamente nella stessa giornata ci rivolgemmo all’imprenditore Umberto Lenzini. All’epoca era presidente della Lazio. Lui disse: la darà a Tony Santagata. Lucio fu costretto a ripiegare su un altro appartamento, una palazzina a venti metri dalla mia, al terzo piano. Grazia Letizia Veronese abita ancora lì, è buona amica di mia moglie”.
Tony Santagata è un torrente in piena. Al party per la festa nazionale della Corea del Sud, in via Della Mendola, all’Olgiata, non lontano da casa sua, omaggia l’ambasciatore coreano di una delle sue ultime fatiche canore. Il diplomatico asiatico, sotto lo sguardo sornione di Vito Grittani, mostra di apprezzare. Nel prosieguo della lunga serata, l’intervista si trasforma in una conversazione e quindi in un torrentizio monologo. Soprattutto quando, insieme, passeggiamo nella zona che una volta pullulava di locali, dal Folkstudio al Bagaglino. Che più o meno mezzo secolo fa, lo vedevano tra i protagonisti della dolce vita romana.
Dietro il Pantheon, seduti al ristorantino ‘La Miscellanea’, serviti da un vispo ragazzo moldavo, racconta di quando, lui poco più che adolescente, Padre Pio rispose alla sua insistente domanda ‘Mio padre vuole che studi, ma io voglio cantare: cosa devo fare?’, il frate delle stimmate rispose: ‘Studia, uagliò, studia. Anche se lo so che cosa farai, finirai per andare a fare il cantante. Hai la coccia dei foggiani della montagna, tu. Ah, uagliò – aggiunse – però mi raccomanda: canta di Dio’. Quello di Francesco Forgione fu una sorta di vaticinio. Santagata di sarebbe ritrovato San Pio – stavolta non davanti, bensì dentro -, in un passaggio cruciale della sua vita: la grave malattia della moglie. “Mi affidai completamente a lui – racconta -: ebbi la fortuna di incontrare medici straordinari. Da allora, le mie preghiere sono state ancora più intense”.
Uno dei momenti più importanti della sua carriera artistica è la messa in scena della sua opera (“Lo vogliamo chiamare musical? Facciamo pure. Per me resta un’opera: certo scritta in modo diverso da quelle ottocentesche, quelle della grande tradizione italiana, ma pur sempre un’opera”) dedicata al santo di Pietrelcina. “Dovevamo eseguirla dinanzi ad un altro gigante della terra, Giovanni Paolo 2°. Furono momenti straordinari.
Santagata è molto legato alle sue origini. E non solo perché quello strano dialetto pugliese utilizzato in moltissime delle sue canzoni, ha contribuito alla sua fama: “Lasciamo stare i ‘Beri’ (chiaro riferimento a Lino Banfi, ndr) e i facili e un po’ ruffiani rifacimenti dei classici napoletani (Renzo Arbore, ndr). Io ho portato sulle platee un linguaggio che faceva riferimento alla Puglia intera. Anzi, alle Puglie”. Tony diventa prima professore di storia raccontando l’assedio di Accadia. Poi si fa psicologo dell’anima: “Qualche tempo fa, in macchina, sbagliai strada. Mi ritrovai sull’orlo della diga di Occhitto. Decisi di proseguire: fu come un viaggio nelle viscere della terra, della mia terra. Terra umile. Il paese dell’anima, della mia e della mia gente che ancora resisteva in quei posti poveri ma ricchi di fascino, da San Marco La Catola a Alberona, da Volturara a Motta Montecorvino”.
E la Puglia di oggi? Piace a Tony Santagata? È diventata un laboratorio politico eccezionale, con quel governatore comunista e pure gay. “Di politico non m’interesso. Sennò avrei accettato l’invito di Aldo Moro. Nel 1976 quell’uomo straordinario, quella persona eccezionalmente colta che parlava in toni pacati e educati, mi propose di candidarmi per la Democrazia Cristiana. Per tornare all’attualità, non mi pare che essere omosessuali sia uno scandalo. Anzi. Sapete bene che il mondo che ho frequentato e frequento ne è pieno. Spesso è addirittura la regola. Mi piace invece la grande dignità di Vendola. Per il resto, di destra o di sinistra, l’importante è che gli amministratori e i politici a qualsiasi livello siano onesti. Sennò che futuro potremo costruire per quei miei nipotini che stasera sono a casa a far compagnia alla nonna?”

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