venerdì 14 giugno 2013

Ci sono momenti in cui tra il bianco e il nero prevale il grigio. Un'ombra, una macchia indefinibile, oleosa, quasi maleodorante. In questi momenti la riflessione deve prevalere. La contemplazione. Il guardarsi dentro senza perdere di vista ciò che sta al di fuori.
Spesso invece accade che da una parte vi sia il bianco, dall'altra il nero. Non c'è una vera ragione. Accade che si finisca nella zona d'ombra, invischiati, risucchiati, spinti verso il basso da una sorta di palude che cela (e poi neppure tanto) sabbie mobili. Insidiose, subdole.
Da un lato il banco, dall'altro il nero. E invece il mondo, quello che sta dentro di noi e quello che sta al di fuori (che sia da noi stessi conosciuto o meno), è una lunga teoria di macchie grige. Di tutte le tonalità del grigio. Un non-colore, una anticromia. Ma è così. Inevitabile. Ineluttabile.
I fatti, le persone, le cose. Noi, gli altri, le nostre case, le nostre cose. e le case e le cose degli altri. Il nostro mondo e il gli altri mondi. Il conosciuto e l'inconosciuto.
Allorché il grigio invade (e pervade) il bianco e il nero, le cose si mettono male. I confini non sono più netti, nitidi, individuabili. Diventano linee contorte, sinuose. Linee grige. Altro che cinquanta. le sfumature del grigio sono mille, milioni, milioni di milioni.
Allora guardiamo le stelle. E cerchiamo una ragione in loro. Trapuntano il manto nero del cielo e illuminano il cammino. Verso la zona bianca o - persino - verso la zona nera. Purché il grigio scompaia. Cerchiamo i colori: negli occhi dei bambini, nei capelli di una ragazza, nelle rughe di un vecchio, nei ricordi di una mamma, nelle parole di un narratore, nel suono delle campane, nell'erba piegata dal vento, nel vento, nella pioggia e nel sole. Nelle opere e nei giorni degli uomini.

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